L’ipotesi di cui parleremo oggi in maniera sintetica è, purtroppo, più frequente di quanto si possa inizialmente immaginare: ci riferiamo al caso dell’amministratore condominiale che predispone un piano di ripartizione errato da sottoporre all’assemblea condominiale, la quale, facendo fede sulla diligenza riporta dal professionista nella compilazione di questo documento, approva il piano di ripartizione che contiene tuttavia un errore per quanto concerne la ripartizione stessa delle spese comuni.
Il caso, di cui ha parlato recentemente Condominio Web, è facilmente riconducibile all’ipotesi in cui a un soggetto, proprietario di unità immobiliari senza accesso allo stabile comune (perchè magari rappresentate dal solo box all’interno dell’autorimessa condominiale) venga richiesto il pagamento di una quota di spese per la gestione al conservazione delle parti comuni, quali ad esempio le scale, l’ascensore e così via.
Per quanto ovvio, è abbastanza scontato come il soggetto che non ha accesso allo stabile comune non debba partecipare alle spese ad esso relative. Ma come comportarsi nel caso in cui l’assemblea condominiale abbia approvato un piano di ripartizione errato che comporti l’inclusione, nel novero dei soggetti che dovranno partecipare alle spese di gestione e di manutenzione, anche del soggetto “estraneo” a tali oneri?
Il diritto principale di tale condomino consisterà principalmente nel poter impugnare la deliberazione, ottenendo la dichiarazione di invalidità. Il termine temporale utile per poter procedere all’impugnazione della deliberazione è fissato in trenta giorni dalla data della deliberazione stessa.
A supporto di quanto sopra la sentenza n. 6714 del 19 marzo 2010 della Cassazione, secondo cui sono annullabili e, pertanto, sono altresì coerentemente impugnabili ai sensi dell’art. 1137 ultimo comma, del Codice Civile, “le delibere con cui l’assemblea, nell’esercizio delle attribuzioni previste dall’art. 1135 n. 2 e n. 3 c.c., determina in concreto la ripartizione delle spese medesime in difformità dei criteri di cui all’art. 1123 c.c.”.