Stando a quanto affermato dalla sentenza n. 3/18/12 della Ctr Lombardia, il maggior valore attribuito agli immobili sulla base dei dati forniti dall’Osservatorio del mercato immobiliare, e dei mutui erogati agli acquirenti, non costituiscono determinanti sufficienti al fisco per poter rettificare il valore di compravendita sull’impresa venditrice.
In altri termini, nonostante la circolare 18/E/2010 avesse invitato gli uffici tributari a non procedere ad accertamenti basati su automatismi di rigida entità, con l’abrogazione delle disposizioni contenute nel decreto Visco Bersani (che assumevano gli elementi di cui sopra come presunzione legale), scatta una nuova fase di rivoluzione nella fattispecie giudiziaria.
Ricordiamo infatti come il precedente regime permetteva agli uffici di poter rettificare in automatico i corrispettivi dichiarati ai fini delle imposte sui redditi e dell’impsota sul valore aggiunto, se i prezzi pagati risultassero inferiori al valore normale determinato sulla base dei criteri richiamati sulla base dei dati Omi e – con specifico riferimento all’imposta sul valore aggiunto – sul valore dei mutui.
La Ctr Lombardia ricorda invece come – grazie anche alla principale procedura di infrazione intentata dalla Commissione europea contro l’Italia – è stato eliminato dal nostro ordinamento qualsiasi riferimento al valore normale degli accertamenti immobiliari: la nostra normativa viene così allineata a quanto stabilito dalla direttiva comunitaria 2006/112, per la quale la base imponibile Iva rappresenta sempre il corrispettivo pagato.
Infine, i giudici sottolineano come il valore del mutuo può essere più alto di quello indicato nei rogiti, per motivi di varia natura: ad esempio, la necessità di dover finanziarie le spese notarili o gli arredi. Pertanto, il venditore non può avere alcun potere di intervento. Sia i dati Omi che i valori del mutuo rappresentano pertanto elementi meramente indiziari, ma non certo in grado di far scattare in maniera univoca la lampadina dell’evasione fiscale.