Introdotta per “rivoluzionare” l’approccio fiscale al comparto locativo, la cedolare secca continua ad accumulare strati di delusione. Stando a quanto rilevato dalla Cgia di Mestre, nelle casse dello Stato figurerebbero un buco da 5 miliardi di euro in due anni, dovuto proprio alla mancata dichiarazione di un milione di affitti `in nero´. Una cifra impressionante, che l’associazione degli artigiani ha calcolato su base statistica.
Stando a quanto riportava La Stampa qualche settimana fa, infatti, il calcolo è stato effettuato togliendo, dal novero complessivo, “il numero delle case che i locatori dichiarano di affittare (2.700.000), le unità immobiliari legate all’edilizia pubblica (800.000) e quelle date in affitto dalle società (350.000). Totale 950.000 unità. Una cifra che, secondo la Cgia, è sottodimensionata, visto che non tiene conto dei «contratti» riferiti al milione e mezzo di universitari che vivono fuori sede e quasi sempre non in case di proprietà” (vedi anche Manovra finanziaria: colpisce mutui, case ed affitti).
Proprio la Cgia sottolinea come dal 2011, anno di entrata in vigore dell’alternativa costituita dalla cedolare secca, il legislatore voleva accentuare i propri impegni di lotta all’evasione fiscale, attraverso sia l’eventuale ricorso volontario alla cedolare secca da parte del proprietario sia l’autodenuncia del conduttore sono stati un flop con mancati incassi erariali (vedi anche Cedolare secca affitti 2011: rendez-vous con i versamenti).
Tuttavia, la delusione è emersa fin dai primi mesi. “È l’ennesima dimostrazione” – ha commentato in proposito Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia – “che il contrasto di interessi non funziona. La gente preferisce non pagare nulla piuttosto che pagare poco. Anziché continuare ad accanirsi su chi è conosciuto dal fisco, è necessario anche in questo caso di concentrare l’attività di contrasto all’evasione su chi opera completamente in nero attraverso una più incisiva attività di intelligence”.
Ricordiamo che la cedolare secca prevede l’applicazione di un’aliquota fissa sugli affitti immobiliari ad uso abitativo pari al 21 per cento, con un calo al 19 per cento nel caso di affitti a canone concordato. Con tale disposizione legislativa, inoltre, i canoni di locazione non possono essere adeguati annualmente all’inflazione e il proprietario non può richiedere la rivalutazione del 75% dell’indice Istat-Foi.