Il rent to buy è stato presentato come una misura anticrisi perché agevola le famiglie che non hanno abbastanza garanzie rispetto ad una banca, nell’acquisto di un immobile. Ma tutto sembra propendere a favore dei venditori. Ecco perché.
Affittare per acquistare, il rent to buy è questo. Una famiglia che non ha lavoro e reddito sufficiente per farsi accendere un mutuo, invece di ricorrere alla banca, può accordarsi privatamente con il venditore. Questo gli offre la sua casa in affitto per un tempo molto lungo, più o meno per il tempo che durerebbe il piano d’ammortamento di un mutuo immobiliare, e alla fine del contratto si procede con l’acquisto. L’inquilino, naturalmente, ha diritto di prelazione.
Nella pratica, però, succede che se il venditore vuole recedere il contratto, può farlo in qualsiasi momento e senza carichi onerosi, ma se la stessa pratica vuole intentarla un inquilino, rischia di non vedersi rimborsare le somme versate in eccesso e rischia di dover comunque pagare le spese notarili.
Lo Sblocca Italia ha disciplinato il rent to buy ma l’ha fatto propendendo a favore dei venditori mentre inizialmente la pratica doveva andare incontro agli acquirenti. Questi, in più, senza avere garanzie fiscali su chi vende, si ritrovano per le mani un contratto d’affitto particolare che non riserva loro le garanzie che si danno agli inquilini classici.
Il Sunia di fronte a tanta confusione, pur apprezzando la pratica del rent to buy, prova a chiedere una regolamentazione più stringente al Governo, apponendo alla legge un maxiemendamento concentrato su: salvaguardia della locazione, diritto alla restituzione delle somme versate nei casi di recesso dall’acquisto.