Immaginate di aver comprato una casa, una seconda casa e di non voler pagare le tasse per le abitazioni diverse da quella principale. Una soluzione è nel comodato d’uso gratuito con il quale la casa è concessa ad un’altra persona, in genere un inquilino di fiducia o un parente. In questo caso si registra un contratto?
Il comodato d’uso è diverso dall’affitto perché è gratuito. Però in fondo, quel che accade è la stessa cosa. Un immobile è concesso in uso ad un inquilino diverso dal proprietario. La registrazione del contratto, allora, va fatta? È obbligatoria e soprattutto: bisogna versare periodicamente l’imposta di registro?
Il contratto di comodato d’uso è disciplinato dagli articolo 1803 e successivi del Codice Civile e prevede che un soggetto definito comodante, cioè che mette a disposizione l’appartamento, e un altro soggetto definito comodatario, cioè che riceve, si accordano affinché il comodatario usi gratuitamente un immobile con l’obbligo di restituire il bene alla scadenza del termine stabilito o quando il comodante lo richieda.
Il comodato d’uso si fa in genere a favore di un parente, oppure per affari. Il comodatario ha degli oneri diversi dall’affitto. Nel senso che non paga un canone di locazione ma gli è chiesto di rimborsare le spese sostenute per utenze, manutenzione, ristrutturazione e via dicendo.
La registrazione del contratto non è sempre obbligatoria: se il contratto è stipulato verbalmente non bisogna registrarlo ma se c’è un accordo scritto, allora la registrazione è obbligatoria e ci si paga su una tassa fissa, un’imposta di registro pari a 168 euro più l’imposta di bollo ordinaria.
La registrazione si fa soltanto alla stipula e non sono previsti versamenti annuali, soprattutto se si stabilisce il tacito rinnovo dell’accordo di anno in anno fino a decisione contraria.