Il 2013 è anno molto arduo, per le imprese italiane, anche sul fronte dell’applicazione dell’imposta municipale unica. Da quest’anno, infatti, sui fabbricati di categoria catastale D (ovvero, su fabbriche, opifici, e così via), l’aliquota IMU non potrà mai essere inferiore al 7,6 per mille, e neppure in quei comuni che già avevano diminuito la soglia di applicazione dell’imposta, o volevano farlo in questi mesi.
Oltre a quanto sopra precisato, simile sorte toccherà ai fabbricati classificati in categoria D, in riferimento alle imprese di costruzione con riguardo agli immobili rimasti invenduti.
La “novità” sgradita per gli imprenditori è stata apportata dall’art. 1, comma 380, della legge di stabilità 2013, che ha annullato la potestà regolamentare dei comuni ai quali risulta attualmente preclusa qualsiasi possibilità di riduzione della tassazione (vedi anche esenzione Imu per terreni incolti).
La legge di stabilità, come più volte abbiamo ribadito negli ultimi mesi, ha modificato la ripartizione originaria dell’imposta municipale unica tra comune e Stato, prevedendo che a quest’ultimo, proprio a partire dal 2013, finisca solamente il gettito che deriva dagli immobili ad uso produttivo che sono classificati nel gruppo catastale D, calcolato con l’aliquota standard del 7,6 per mille.
Ne consegue che ai comuni sarà consentito intervenire su questi fabbricati solo ed esclusivamente aumentando l’aliquota fino al 10,6 per mille, con attribuzione alle stesse municipalità della differenza positiva nei confronti dell’aliquota standard. Di contro, i comuni non possono scegliere di ridurre l’aliquota base del 7,6 per cento, nè potranno fissare delle aliquote agevolate per i fabbricati dei soggetti Ires, e per i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita.
Infine, per quanto concerne i fabbricati rurali strumentali accatastati in categoria D, il ministero ha già chiarito che si contniuerà a prevedere un’aliquota standard dello 0,2 per cento anzichè dello 0,76 per cento. Non è invece stato chiarito se i comuni possano ridurre l’aliquota dello 0,2 per cento fino allo 0,1 per cento.