In questo periodo si torna a parlare di beni confiscati o sequestrati alla mafia e del modo migliore per utilizzarli. In genere sono dati ad associazioni che instaurano circoli virtuosi nei territori dove il bene è confiscato magari dando spazio ad iniziative ispirati al temi della legalità e della cultura dell’accoglienza. Ma la valorizzazione è l’unica strada possibile?
Molti progetti realizzati nei beni confiscati alla mafia hanno avuto un successo nazionale e non solo. Basta pensare a quello che fa ogni giorno l’associazione Libera. Ma ci sono dei beni che sono lasciati in abbandono e non sono valorizzati come si dovrebbe o si vorrebbe. Complice di questo “degrado” involontario è anche la crisi che ha costretto tante amministrazioni a concentrare le risorse finanziarie su pochi progetti essenziali.
Le amministrazioni pubbliche e le associazioni, finora, sono le uniche realtà che hanno diritto a rilevare i beni confiscati, ma è possibile che nemmeno banche, associazioni di categoria ed enti locali abbiamo poi i soldi per valorizzare e riusare questi beni, per sfruttare e potenziare immobili e terreni spesso molto ampi.
Il presidente dell’Istituto nazionale amministratori giudiziari, Domenico Posca, ha invece proposto di ampliare la platea delle persone che possono acquistare i bene confiscati o sequestrati. In pratica ha chiesto che vengano inseriti nella lista degli aventi diritto anche i privati. In fondo, in Italia, il patrimonio confiscato è molto ampio: si parla di 17.000 immobili confiscati e di 23.000 immobili sequestrati per un valore complessivo che supera i 6 miliardi di euro con 40 mila cittadini che occupano questi edifici e questi terreni come inquilini. L’esempio che si fa è quello di un magazzino confiscato al centro di Napoli adiacente ad un ristorante che avrebbe tutto il vantaggio a procedere all’acquisto di questa estensione del locale, se solo ne avesse il diritto.
La riflessione è avviata.